La bufera dell’1 febbraio 1898

2 Gennaio 2004 Off Di meteocomo

Ecco un particolareggiato resoconto della bufera di vento che investì il Lario più di cent’anni fa, e che riporta alla mente il recente episodio che colpì l’Europa centrale ed occidentale nel S. Natale del 1999.

La più recente “tempesta del secolo”, soprannominata poi Lothar, sconvolse anche Parigi, sommersa dai resti di numerosi alberi e cartelli stradali sradicati dal suolo ed abbattuti da venti che arrivarono a soffiare sino a 170 Km / h.

Le similitudini con il recente episodio sono molte, e ben evidenziabili dai danni che l’intera provincia ebbe a patire alle soglie del XX secolo: certamente Como ed il suo lago furono spazzati da “venti da uragano”.

Vi ricordiamo a tal riguardo come la scala dei venti di Beaufort classifichi i venti superiori a 120 km / h come “venti da uragano”.

Più difficile invece trovare analogie sulla dinamica degli eventi.

Tuttavia nel 1898 la bufera, sempre secondo le cronache di allora, portò distruzione anche nella bergamasca e nel bresciano, ed in generale in tutta l’alta Italia.

Notizie altrettanto drammatiche giunsero fin da subito anche da Vienna e Budapest, a conferma che tale episodio non fu per nulla locale.

Solo al momento di andare “in macchina”, iniziarono a giungere via telegrafo in redazione le prime notizie dalla provincia comasca: solo allora si delinearono in tutta la loro drammaticità gli accadimenti di quei giorni e l’elevato tributo in vite umane.

Tali notizie, in parte riportate nella seconda parte di questo reportage, trovarono poi spazio sulle colonne de “L’Ordine” del 03 febbraio 1898.

Ma veniamo dunque alle cronache di quei giorni , quando “le onde furiose alzavansi tanto da sembrare colline vaganti”.

Dal quotidiano comasco “L’Ordine” del 01 febbraio 1898

“La terribile bufera di vento di stamane”

Preannunziata dai bollettini astro-meteorici, stanotte è sorta improvvisa una terribile bufera che fece sentire la sua spaventevole violenza specialmente stamattina.

I danni prodotti da questo nuovo ciclone sono assai rilevanti e pur troppo non si limitano ai guasti materiali, poiché si hanno sventuratamente a deplorare anche disgrazie di persone, e disgrazie mortali.

Nulla diremo delle tegole atterrate, dei comignoli abbattuti, delle vetrine spezzate, delle finestre sfondate, dei lampioni rotti, o portati via di colpo, perché ci vorrebbero delle colonne di giornale per numerare anche solo i principali dei siffatti danneggiamenti.

Taceremo ancora che i negozi di piazza Cavour, ed in genere tutti quelli che trovansi nei luoghi più vicino al lago e quindi più esposti alle ire indiscrete del vento, o non hanno potuto aprire ovvero dovettero chiudere in furia e fretta per evitare più seri guai.

Per dare un’idea della violenza del vento diremo che due finestroni del Duomo – quelli posti sopra gli altari dell’Addolorata e di S. Giuseppe nel lato settentrionale – vennero portati fin quasi in mezzo alla cattedrale.

In piazza Cavour una vettura venne rovesciata a terra, come fosse un gingillo o un fuscello che il vento porta via.

La piccola bilancia daziaria del Lungo Lario vene fatta in pezzi e lanciata parecchi metri lontano: la garretta delle guardie che sta sul ponte della darsena Pozzini fu ridotta a mal partito dalle colonne d’acqua gettatele addosso dalle terribili raffiche.

Piazza Cavour pure parve come tutta inondata, tanto gigantesche erano i rovesci d’acqua che il vento le portava dal lago.

Passiamo sotto silenzio altri guasti di simil genere, che ci tirerebbero troppo per le lunghe e che d’altronde si possono anche immaginare.

E qui siamo alle disgrazie personali.

Il vento pur troppo ha spento in modo assai tragico una giovane esistenza, il facchino Zanfrini Francesco, d’anni 25 di Como.

Costui stamane, proprio mentre la bufera era nel suo massimo vigore, con quello slancio che è proprio dei giovani, insieme ad altri compagni, stava tirando in secco le barche alla riva per sottrarle al pericolo di possibili, anzi di sicuri guasti, quando una ventata formidabile sollevatene due di peso le buttò addosso al povero facchino, il quale, investito improvvisamente, venne gettato a terra con tanta violenza da restarvi come corpo morto mandando sangue in copia dalla testa.

Soccorso alla meglio dai compagni e da altri pietosi cittadini, il povero giovane venne adagiato sur una vettura e trasportato all’ospedale, dove, purtroppo, non si poté far altro che constatarne la morte avvenuta quasi sul colpo.

La gravissima disgrazia, che costò la vita allo Zanfrini, ha fatto vivissima impressione.

“La bufera sul lago”

Né meno violenta che in città la bufera fu sul lago.

Se non si ha a deplorare un naufragio lo si deve certamente alla valentia ed al sangue freddo del personale della “Lariana”.

Ed ecco di che si tratta.

Bisogna sapere, prima di tutto, che il lago, specialmente nel nostro bacino ed in quello di Torno, fu stamane qualche cosa di veramente spaventevole.

Le onde furiose alzavansi tanto da sembrare colline vaganti, sprigionanti vere nuvole d’acqua.

Il battellino che fa la prima corsa Torriggia – Como, deve la propria salvezza e quella dei passeggeri all’abilità non solo, ma un po’ anche al sangue freddo del timoniere Molina Bernardo.

Immaginarsi che le ondate gli passavan letteralmente sopra !

A Como fu impossibile arrivare, giacché, quando si fu all’altezza del “Nino” si dovette retrocedere al pontile di Blevio, ed ivi ormeggiarsi in attesa che l’infuriato elemento calmasse le sue furie infernali.

L’equipaggio grondava come se fosse stato in un bagno !

Il “Brunate”, comandato da altro bravo timoniere – Cavadini Attilio – ebbe pure a lottare straordinariamente colle onde, filando direttamente da Como al pontile di Torno.

Il “Volta”, in partenza da Como alle 8,10, non poté lasciare il pontile che verso le 9 ½.

Di barche nei primi bacini se ne vedeva una sola all’altezza di Urio.

Speriamo abbia potuto riparare in qualche punto e che notizie di naufragi non abbiano a giungere.

Alle 10 le acque incominciarono a calmarsi ed a calmarsi pure il vento.

“Il lago era in completa burrasca. Le onde erano così alte che sorpassavano la diga.

E nel mezzo della Piazza Cavour giungevano vere colonne d’acqua ad inondarla.

Così nel Lungo Lario l’acqua andava a colpire le case.

Era una scena grandiosa e spaventevole”

Questo è quanto riportava l’altro quotidiano locale “La provincia di Como” mercoledì 2 febbraio 1898.

Solo il giorno successivo, l’entità del disastro si delineò con le notizie più sotto fedelmente riportate.

Sono state volontariamente omesse quelle parti che descrivevano le strazianti scene che si presentarono ai soccorritori.

L’elevato tributo in vite umane di Oggiono, alla filanda Brusadelli, fu aggravato dal crollo del fumaiolo, alto 15 mt, della filanda del signor Giulio Ruschetti a Cesana Brianza: anche questo articolo non viene qui riportato, tuttavia il crollo, che sfondò metà della tettoia della filanda, uccise 3 operai.

Tralasciamo anche le cronache del crollo del campanile della chiesa di S. Eufemia, nonché le drammatiche notizie giunte dalla Val Cavallina e da Clusone (BG), dove altri crolli interessarono le locali filande (“sei ragazze morte e altre sette o otto gravemente ferite”).

Ma torniamo a quei giorni.

Dal quotidiano comasco “L’Ordine” del 03 febbraio 1898

“La bufera di Cadenabbia”

Abbiamo già accennato nel resoconto sommario dell’altro ieri che la bufera sul lago è stata qualche cosa di spaventevole.

A Cadenabbia nessuno ricorda d’aver mai visto così gigantesche le onde sollevate dal vento.

Le onde altissime flagellavano la sponda con tanta violenza da far crollare e scomparire nel lago la darsena della villa Piatti, il molo di proprietà Noseda e la spalla di un altro molo.

La strada provinciale alla sua volta ebbe a ruinare per un tratto di circa 55 metri essendo caduto il muro di sostegno.

Per fortuna non si hanno a lamentare disgrazie, sebbene il panico nella popolazione e specialmente in coloro che abitano le case in vicinanza al lago fossero in grandissima trepidazione.

Il signor Piatti, che afflitto da una indisposizione piuttosto grave, passò dei momenti veramente affannosi.

L’ingegnere capo dell’Ufficio Tecnico Provinciale, egregio signor Pedraglio, avvertito telegraficamente, si portò subito sul posto prevedendo visione del disastro e provvedendo subito per i bisogni più urgenti.

Della strada resta solo una striscia di circa un metro e mezzo per transito dei passeggeri.

Credesi che il ripristino della strada costerà non meno di L. 5,000.

Intanto Ammin. Prov. ha già disposto perché l’Ufficio Tecnico faccia immediatamente ricostruire la strada, prima che eventuali pioggie possano far crescere il danno che ricade sul bilancio provinciale.

“Un’altra vittima del vento”

La terribile bufera pur troppo non ha fatto l’altro ieri solo una vittima nella persona del povero facchino Zanfrini.

Ieri infatti alle 12 cessava di vivere anche il Signor Accorsi Pietro, pensionato carabiniere, e la sua morte venne appunto causata dal vento, ed ecco in qual modo.

L’altro ieri l’Accorsi, proprio mentre il ciclone imperversava maggiormente, volle azzardarsi a fare la sua consueta passeggiata mattutina verso la riva del lago per recarsi allo studio.

Arrivato vicino alla “Trattoria della Barchetta” una violentissima ventata lo sollevò quasi di peso atterrandolo.

Nella grave caduta il poveretto ebbe a riportare una forte commozione viscerale con emorragia interna, prodotta pare dalla rottura del fegato e, nonostante le cure del medico, ieri dovette soccombere.

L’Accorsi era conosciutissimo in Como e fu per molto tempo, fino al 1870, nell’esercito pontificio.

I funerali avranno luogo oggi alle ore 16.

“Le terribili disgrazie di Oggiono e Cesana”

brianza

La rovina dei fumajoli ad Oggiono

Martedì, in seguito a notizie telegrafiche giunteci al momento di andare in macchina, abbiamo dato per i primi la notizia del terribile disastro avvenuto ad Oggiono ed a Cesana Brianza nella mattinata stessa in seguito al terribile vento che realmente ebbe le conseguenze se non la forma di un ciclone.

(Omissis)

Fu verso le sette e mezza che ad Oggiono il vento che aveva soffiato tutta la notte assunse proporzioni veramente straordinarie così da far temere qualche improvviso disastro.

I paesani, sbattuti contro i muri delle strade, erano impotenti ad affrontare la bufera.

Le tegole volavano ovunque come foglie.

In un attimo si chiusero tutti i negozi; ovunque lo spavento era immenso.

Nel paese vi sono quattro filande – due appartenenti ai fratelli Amati, due ai fratelli Brusadelli.

Appena le folate di vento diventarono minacciose alle filande Amati, il proprietario signor Giovanni, che già una volta aveva veduto il suo fumaiolo abbattuto dall’imperversare degli elementi, ordinò che le ragazze abbandonassero lo stabilimento.

E fu una fortuna perché le cento operaie circa erano appena uscite che con orribile fracasso la disgrazia presentita avvenne.

Il fumaiolo cadde, dicono testimoni oculari, con un rombo, uno schianto terribile.

Tutto il compartimento delle macchine fu rovinato e portato via.

In un altro stabilimento del signore Alfonso Amati cadde pure il fumaiolo; ma senza danni.

Solo il direttore ed il macchinista furono leggermente feriti.

I danni riportati alla filanda Amati ammontano a circa 25,000 lire.

Alla filanda Brusadelli

Il disastro alla filanda Brusadelli fu invece completo.

Appena avvenuta la caduta del fumaiolo del signor Amati verso le otto alla filanda del signor Giuseppe Brusadelli, la moglie del proprietario, dava ordine alle filatrici di ritirare la seta dalle bacinelle e sospendere il lavoro temendo la furia del vento.

Le operaie ubbidirono, ma quando, spaventate, uscivano dalla sala di lavoro e si affollavano sulla scaletta il funajolo dello stabilimento, alto 33 metri, veniva dal turbine schiantato a metà e rovesciato sullo stabilimento stesso.

Lo stabilimento era composto del pianterreno, dove era la caldaia per il vapore, e di una sala di 60 metri per 10 al piano superiore.

Dal terribile colpo, l’edificio fu letteralmente sfondato.

Le grosse muraglie della filanda crollarono fesse e squarciate.

Un nugolo acciecante di polvere si levò da quell’orrendo caos donde uscivano gemiti strazianti e grida disperate.

Le disgraziatissime operaie che già da qualche tempo erano in preda allo spavento per l’infuriare della bufera e per il crollo d’altri camini dai tetti attigui, vennero travolte nell’immane rovina.

Alcune furono sorprese dal disastro nelle camere del lavoro, altre sulle scale lungo le quali si pigiavano per cercare uno scampo, altre ancora nel cortile.

Le operaie occupate abitualmente alla filanda sono oltre centoventi: cinquanta circa abitanti in paesi circonvicini, martedì non vennero al lavoro per starsene a casa a celebrare la festa delle quarant’ore.

Se anche codeste fossero intervenute la catastrofe sarebbe stata assai più disastrosa.

Per la caduta del fumajuolo cinque operaie furono schiacciate e subito uccise.

(Omissis)

A Cesana Brianza

(Omissis)

Pure a Cesana furono scoperchiate molte case: alla chiesa del Lazzaretto il ciclone ha slanciato in mezzo alla strada una copertura di zingo e travi per un peso di circa 5 o 6 quintali.

(Omissis)

Gabriele Asnaghi