Singolarità storiche: grandi inverni

7 Gennaio 2004 Off Di meteocomo

Singolarità storiche della città di Como e del suo territorio

Dalla penna del Monti, storico comense, ecco alcune note ottocentesche su alcuni dei grandi inverni che segnarono la città di Como e l’Alta Italia.

Ann.1125-1126

La stagione gelata, nella quale terminò l’anno 1125 fu aspra più del solito a segno che una infinità di animali, e la maggior parte delle piante morirono per l’eccessivo rigore che durò parecchie settimane in tutta la Lombardia.

Seguitò altro freddo così crudo l’anno 1126, che la corrente del Po rassodata, non più sembrava acqua, ma terreno duro sopra il quale camminavano sicuramente carri e cavalli.

Ann.1164-1165

Inverno crudelissimo. Dalli 13 dicembre fino alli 15 marzo nevicò dodici volte, e la neve si fermò lungamente sulla terra a primavera alta.

Ann.1199

Nevicò con gran meraviglia d’ognuno nel mese di agosto, e di siffatta maniera nevicò che per tre giorni fu così eccessivo il freddo, come se fosse stato nel cuore del verno.

Ann.1210-1215-1216

Terminò l’anno 1215 con un rigore di freddo si strano, che passò il segno. Perseverò più che mai eccessiva la rabbia della stagione nell’anno seguente 1216.

Inaridirono le viti, seccarensi le piante in grandissima quantità.

Tornò il Po ad agghiacciarsi come era occorso nel 1210; e s’indurarono di maniera quelle acque, che le valicarono non solo gli uomini cò giumenti e carri ben carichi, ma per baldanza vi ballarono sopra e vi tennero giostre nei giorni di carnovale.

Così il padre Tatti, che pei tempi antichi compra all’ingrosso e come compra, vende.

Ann.1233

L’inverno fu così aspro che il Po si agghiacciò da Cremona a Venezia.

Il vino si congelò nelle botti. Seccaronsi viti ed alberi, e più persone rimasero estinte dal gran freddo nei loro letti.

Ann.1234

Anno memorabile per un freddo straordinario, che disseccò le piante e specialmente le viti e gli ulivi e i noci, e agghiacciò fino il vino nelle botti.

Ann.1322

Terminò l’anno 1322 con freddo eccessivo, onde si congelarono i fiumi da camminarvi sopra coi carri.

I mulini restarono immobili, s’indurì il vino nelle botti, le quercie si squarciarono, e più persone morirono intirizzite su per le strade.

Ann.1368

Nel 2 febbrajo cominciarono a spirare venti freddissimi, che furono forieri di copiose nevi, le quali indi a poco coprirono la terra di si fatta maniera, che a rimembranza d’uomini, non si videro mai tanto alte nei luoghi di pianura.

Ann.1428-1429-1434-1442

Nei primi due anni si agghiacciarono i fiumi, e i mulini non poterono macinare.

Nel 1434 invernata rigidissima con nevi copiose.

Nel 1442 si strinse in ghiaccio il Po, e si disseccarono le viti.

Ann.1471-1477-1491-1494

Anni estremamente freddi. Fu singolare il 1477, poiché nel termine di settembre si fece vedere il ghiaccio, e nel principio di ottobre si sentì il freddo così forte, quasi fosse di verno. Durò questo insopportabile fino all’ultimo di marzo 1478, e la neve cadde a tanta altezza, che si mantenne in terra fino agli 8 di maggio.

Ann.1511

Nel gennajo fioccò in tanta copia la neve che arrivò all’altezza di un braccio e mezzo in città e di due braccia al di fuori, accompagnata da tanto freddo, che agghiacciò il vino nelle botti, e ne riportarono non lieve danno i seminati, le viti e le altre piante.

Ann.1514-1523

Anni ambedue memorabili per intensità di freddo. Il 1523 fu anche segnalato per una gran copia di nevi.

Ann.1570

Il cumulo delle nevi fu immenso. In qualche sito si dice che arrivasse (forse portata dal vento) a nove braccia.

Rese impraticabili le strade, non si poteva più viaggiare.

Le ultime traccie della neve svanirono nel principio di giugno.

Ann.1573-1594-1595

Nel 1573 il rigore della stagione fece inaridire le viti.

Nel 1594 il freddo ci assalì d’improvviso nei primi di luglio, e si dovette per alcun tempo vestire d’inverno e usare il fuoco.

L’anno 1595 ai 23 di aprile cascò copia sterminata di nevi, che sino ai 19 maggio ritardarono il germoglio alle piante.

Ann.1709

Qui è un grande lacuna nelle memorie patrie, caso per altro non unico, e saltiamo a piè pari dal 1595 al 1709. In quest’anno fu un orrido gelo che disseccò moltissime piante, in ispecialità viti, ulivi e noci.

Ann.1790

Freddo immenso, e con guasto degli ulivi e di altre piante di climi più caldi, che verdeggiano lungo le rive del lago.

Ann.1830

Nel gennajo si mise un freddo di tale forza, che quasi obbligava coprire il viso per uscire di casa.

L’aqua gittandosi dalle finestre era mutata in ghiacciuoli innanzi di toccare il sottoposto terreno.

E’ un vero peccato, che nella patria dello storico della natura e dell’inventore della pila non vi abbia un gabinetto di fisica, che segni sopra un termometro i gradi di freddo, poi pubblichi le tavole a nostra istruzione.

Noi siamo costretti a giudicare del caldo e del freddo con paragoni materiali, e incertissimi, siccome ai felici tempi che Berta filava.

Ann.1846

Nel dicembre di quest’anno, e continuò nel gennaio del 1847, si mise un freddo dei più crudeli, e ci pareva di essere trasferiti in Siberia.

Ecco il brano di una lettera in data 31 dicembre 1846 scritta dal sacerdote don Innocenzo Pedraglio, curato nella selvaggia Carona di Valtellina.

Qui il freddo, egli scrisse, è fuori d’ogni misura, e non si sente altro a dire: Oh che jad! che jad!

Che ghiado! Che ghiado! I fanciulli mi portano gli uccelli, cui trovano sotto le gronde dei loro tuguri, o lungo le strade, spenti dal freddo.

Ho visto un povero fringuello posarsi sui rami di una pianta fuori la mia finestra, poi cadere assiderato nella neve.

L’ho raccolto con sollecitudine, e mi sono in ogni guisa studiato, ma invano, di richiamarlo in vita.

Tra gli uccelletti così morti si notò il Sordone, ospite perpetuo delle ghiacciaie.

Fin qui quel buon curato. Povero Vincenzo! Innanzi l’alba del 4 luglio 1849 ignoti assassini, sforzata la casa, lo stesero morto nel suo sangue. La sua memoria, come di un martire, sarà sempre benedetta.

Ann.1858

Per tre giorni, cominciando dal 4 gennaio venne uno straordinario nevazzo, e l’inverno fu rigidissimo.

Screpolaronsi le piante, e tra queste avemmo più di un platano del pubblico passeggio intorno alla città.

Gabriele Asnaghi